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S.U.P. SHOOTING UTOPIA PROJECT

Su Scialoja e Pascali apocalittici.

2025-01-03 09:43

The RedChimp

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Su Scialoja e Pascali apocalittici.

Se potessimo indossare occhi del 1964, il nostro sguardo non potrebbe che oscillare tra l’essere apocalittico o integrato.

 

 

Se potessimo indossare occhi del 1964, il nostro sguardo non potrebbe che oscillare tra l’essere apocalittico o integrato.

 

 

Se potessimo indossare occhi del 1964, il nostro sguardo non potrebbe che oscillare tra l’essere apocalittico o integrato. Nella dicotomia che ne diede Umberto Eco, a quella data il mondo poteva dividersi tra gli apocalittici che ponevano assidue questioni alla società dei consumi da una parte e dall’altra, gli integrati che elargivano risposte capaci di rassicurare gli animi. Con gli occhi del 1964, le superfici scabre di Toti Scialoja ci parlano di una apocalissi della materia e del colore in nome dell’esistenziale. Allo stesso tempo le immagini colorate, quasi readymade pubblicitari ricercati da Pino Pascali, spingevano verso un’altra possibilità di apocalissi, quella delle forme naturali e artificiali. Loro due erano contro gli integrati, contro tutti coloro che nella moda consumistica dell’epoca tentavano una redenzione fittizia della massa.

Il segno e l’immagine in Scialoja come in Pascali agitano ancora i nostri odierni incubi occidentali. Le nere superfici del primo parlavano un linguaggio incentrato sulla percezione del tempo e dell’iconoclastia dell’esistente. I riferimenti ai cartoon e alle sfavillanti metropoli del benessere del secondo, riabilitavano il linguaggio dell’esistente per traslarlo sul piano della fantasia bambinesca.

I due artisti hanno forzato il senso del fare arte in direzioni opposte, ostinandosi però a un continuo porre domande su ciò che percepiamo o su ciò che osserviamo. La tattilità è stata un’altra delle loro conquiste. In Scialoja il tattile è manifestato in sottili cordicelle verticali che emergono dalle superfici e lambiscono lo spazio reale dell’osservatore. Ancor di più ha fatto Pascali con le setole delle sue processionarie che strisciano verso le nostre scarpe sporche di inconscio.

Anche il gesto diveniva il frutto delle coppe rovesciate dagli angeli sterminatori. In Scialoja il gesto era la fonte da cui attingere per ricostruire il mondo interiore dell’artista mentre in Pascali, la gestualità del corpo assumeva i connotati dello stesso artista, che diveniva così l’albatros di Baudelaire, schernito dall’uomo della strada. Il martirio e lo scherno con gli occhi del 1964 possono così ancora oggi imporsi al nostro quotidiano.

Con occhi del 1964, vediamo Scialoja ascoltare le parole del più anziano poeta Eugenio Montale, e rimanere atterriti e sgomenti nell’attesa di una probabile quanto stupefacente sardana infernale. Al contempo, in un altro spazio-tempo, vediamo Pascali come redivivo e popular Priapo Pulcinella agitare un fallo a forma di missile, nel cui glande si nasconde il seme della morte nucleare.

Il loro coraggio è ciò che oggi viene a mancare in una realtà dove gli integrati continuano ad elargire risposte rassicuranti. Il loro coraggio è oggi la cartina tornasole della nostra infamia esistenziale, laddove abbiamo addomesticato la morte e la vita in nome del benessere.

Se potessimo strapparci gli occhi del 2024, potremmo diventare ciechi e vagare per le nostre lande desolate dell’arte e della società ma forse questa cecità potrebbe riportarci ad una rivelazione autentica come quella che è rimasta eco lontana nelle opere di Scialoja e Pascali.

Riprendendo un vecchio modello dell’espansione dell’universo, tuttavia, le loro rispettive ricerche appaiono come due galassie che, generate da uno stesso iniziale momento o big bang, alla stessa velocità si allontanano una dall’altra, verso l’infinito e il vuoto.

 

 

On the bottom a view of the exhibition Pino Pascali Toti Scialoja. Confluenze. (Bari, Kursaal Santalucia 2024) Photo: Monica Ferrari 

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